Una leadership di padre in figlio: istruzioni per l’uso nel passaggio generazionale.
“Non sempre ciò che viene dopo è progresso” scriveva Manzoni più di un secolo e mezzo fa.
Lo sanno bene gli imprenditori quando vedono avvicinarsi il momento di passare il testimone ai figli.
Perché solo il 15% delle imprese familiari europee sopravvive alla terza generazione?
Perché è così difficile per il giovane proseguire con successo l’attività imprenditoriale avviata dal padre o dal nonno?
Il passaggio generazionale non è un’epidemia! Vediamo un caso reale…
Cosa manca al neo imprenditore di così determinante tanto da decretare il fallimento dell’azienda nell’arco di pochi anni?
La consulenza aziendale alle imprese familiari nel delicato passaggio “di padre in figlio” cosa può fare?
Il momento del ricambio generazionale è sempre un gran problema!
Intorno al problema del ricambio generazionale sta nascendo un grande business. Nascono come funghi società di consulting, figure di temporary manager ed altri sistemi legati all’organizzazione aziendale, specializzati nel risolvere “il problema del ricambio generazionale”, facendo appello alle tecniche più disparate.
Ci sono poi, società specializzate nell’acquisizione di piccole e medie imprese familiari che sfruttano il momento critico a proprio vantaggio. Queste società dispongono di manager che, affiancando il futuro imprenditore, entrano di fatto nella conduzione totale delle stesse.
Per scoprire le reali cause del problema del ricambio generazionale, è necessario risalire a monte: la psicologia dei componenti della famiglia.
Vediamo un caso reale
Pochi anni fa eravamo in consulenza in una piccola azienda metal meccanica (circa 30 dipendenti) nei pressi di Arezzo. Aldo, il titolare, ci contattò dicendoci che aveva qualche problema nella gestione del rapporto con i suoi figli, destinati a subentrare al padre nella titolarità. Due figli maschi intorno ai 35 anni, che – subito dopo il diploma – erano stati coinvolti nella vita aziendale.
Appena entrati in azienda, notammo un clima di lavoro piuttosto buono, fummo accolti da tutti i collaboratori con molto garbo e simpatia. Questo atteggiamento di accoglienza nei confronti di un consulente esterno non è così scontato, in quanto spesso egli viene considerato semplicemente un estraneo chiamato a valutare il lavoro svolto.
Iniziammo il lavoro e facemmo colloqui un po’ con tutti. In poco tempo verificammo che tutti i collaboratori avevano una grande stima e considerazione per il signor Aldo, tranne i suoi figli.
Aldo è il classico piccolo imprenditore che “si è fatto da sé”, creando l’azienda negli anni ’70, un periodo d’oro per la nostra imprenditoria. Nel tempo l’azienda di Aldo era cresciuta, mantenendo sempre la sua peculiarità di piccola industria.
Si sposò molto giovane e delegò la gestione della famiglia e l’educazione dei figli alla moglie casalinga, mentre lui si occupava dell’azienda e si dedicava ai suoi interessi.
Inoltre, Aldo aveva avuto una vita affettiva abbastanza movimentata. Aveva avuto diverse avventure con qualche avvenente signora.
La moglie di Aldo era consapevole della vita un po’ “disinvolta” del marito e non ne era affatto contenta. In casa non era raro assistere a scenate di gelosia, dove sovente erano coinvolti anche i parenti, e a periodi di depressione della signora.
Ciò nonostante, Aldo non pensò mai di mollare tutto: per lui continuava ad essere prioritario salvaguardare la famiglia e i figli.
Secondo te, questa situazione come ha inciso nell’educazione?
Questi due ragazzi erano stati cresciuti da una mamma sofferente e in continua rabbia nei confronti del padre. Avevano, nel tempo, introiettato questa rabbia, maturando l’idea che il padre fosse una persona ignobile, indegna e meschina.
Tutti parlavano di Aldo come di una persona molto capace nel suo lavoro e molto appassionata per quello che faceva, ma soprattutto parlavano di lui come di un uomo affidabile e su cui si poteva contare. Dalle parole dei figli traspariva l’opposto: rabbia e disprezzo.
E quando noi li incalzavamo con domande sul perché di questo sentimento rabbioso e sprezzante, loro avevano difficoltà a rispondere. Paradossalmente sembrava che anche loro non sapessero esattamente da dove derivasse.
Ti domanderai: “Va bene. Ma che c’entra tutto questo con l’azienda?
Queste sono solo vicende familiari, cosa c’entrano con il ricambio generazionale?”.
Non è così semplice. In un’azienda familiare, il business si intreccia in modo ineluttabile con gli affetti e con le dinamiche psicologiche insite nella famiglia.
E le tecniche organizzative, finanziarie ed economiche normalmente utilizzate nella gestione del passaggio generazionale servono solo in parte se non si arriva a capire queste dinamiche psicologiche.
In sostanza, la causa di tanta difficoltà nel mantenere il successo dell’impresa di famiglia spesso va cercata nella psicologia del giovane imprenditore.
La sua psicologia spesso non gli permette di essere centrato in modo totale sui propri obiettivi di business.
Al contrario, egli attua una forma di auto sabotaggio quando si trova nel momento del ricambio generazionale. Se il giovane imprenditore capisce e supera questa situazione di carattere psicologico può:
- riprendere la strada verso la realizzazione del suo progetto
- saper cogliere l’utilitarismo funzionale della situazione lavorativa proposta dal padre
- abbandonare uno stile di vita infantile e guadagnare sempre più successo, in maniera del tutto autonoma.
In base alla nostra analisi, consigliammo ad Aldo di non far entrare i propri figli nel CdA perché talmente rabbiosi che per loro era prioritario contrastare il padre piuttosto che realizzare il bene dell’azienda. Erano in piena dinamica di autosabotaggio.
Siccome i due ragazzi rivendicavano la loro titolarità, fu creata una nuova azienda che si occupava del settore commerciale ed è stata loro affidata perché il passaggio generazionale fosse più morbido.
Oggi, il padre sta cercando di lasciarli soli nella loro responsabilità di giovani imprenditori, tranne i casi in cui sono loro stessi a chiedere consigli o interventi diretti. Così dovrebbe funzionare la delicata fase del ricambio generazionale.
Intanto, i giovani stanno usufruendo della consulenza individuale leaderistica. Stanno prendendo coscienza della loro reale situazione e stanno guadagnando autonomia di giudizio e obiettività. Soprattutto, scelgono situazioni di business secondo il criterio semplice ma inesorabile di ciò che è utile e funzionale per l’azienda.
E tu, sei pronto a lasciare la tua impresa a tuo figlio? Il passaggio generazionale ti fa paura?
P.S.
Tu sai che se dicessi “no” al momento giusto, staresti meglio. Guadagneresti più tempo per te e per le cose che ti interessano. Una piccola parola, “NO”, ti risolverebbe molti problemi della vita. Eppure, spesso hai difficoltà a pronunciarla!
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